La domanda suona forse banale per alcuni, perché oggi finalmente la cultura dell’olio extravergine si va diffondendo sempre di più, soprattutto fra i consumatori più attenti. Eppure si tratta di un tema di cui è ancora importante parlare. Lo sforzo divulgativo è infatti sia una forma di tutela contro la contraffazione e la scarsa qualità, sia un modo per promuovere uno stile di vita sano, perché i consumatori informati sono più in grado di riconoscere e apprezzare un olio di oliva di alta qualità. La valutazione della qualità dell’olio d’oliva è una combinazione di esperienze sensoriali e dati analitici. Le prime sono legate alle percezioni delle note di fruttato, amaro, piccante, ricevute immediatamente all’assaggio; i secondi si ricavano da analisi specifiche basate su indici standardizzati, che seguono la normativa della legge in vigore (il Regolamento CEE 1531/2001 del Consiglio del 23 luglio 2001, entrato in vigore dal 1° novembre 2003, che regola di fatto tutte le denominazioni degli oli d’oliva vergini, extravergini e di sansa). I valori principali da considerare per valutare l’olio d’oliva sono tre: i polifenoli, l’acidità totale oleica e i perossidi, che ne determinano la gradevolezza al palato e il valore nutrizionale.
I POLIFENOLI. Dal punto di vista organolettico, i polifenoli determinano l’aroma fruttato e il gusto piccante o amaro. Queste caratteristiche sono più o meno accentuate a seconda della percentuale di polifenoli contenuta nell’olio. Dal punto di vista chimico, invece, i polifenoli prevengono le reazioni dell’ossidazione e sono infatti veri e propri antiossidanti naturali, contribuiscono alla stabilità dell’olio nel tempo e ritardano il cambiamento della struttura proteica degli acidi grassi contenuti nell’olio e, di conseguenza, il suo irrancidimento. Non solo: i polifenoli svolgono una funzione anti-invecchiamento anche nell’essere umano. Numerosi studi hanno mostrato la funzione attiva dei polifenoli come sostanze antiossidanti (che proteggono le cellule dai danni causati dai radicali liberi), ma anche antitumorali e antitrombotiche (inibibendo la coagulazione del cosiddetto colesterolo cattivo – LDL). La quantità di polifenoli presenti nell’olio può variare molto ed è influenzata da un gran numero di fattori. Innanzitutto, dipende dalla cultivar da cui viene estratto l’olio. Varietà come la Coratina o anche la Cellina di Nardò (purtroppo sempre più rara) riescono a esprimere valori molto elevati. Ma a determinare la presenza di polifenoli sono soprattutto le pratiche agronomiche (solitamente, più matura è l’oliva nel momento in cui viene raccolta, più basso è il contenuto di polifenoli), ma anche il clima e le tecniche di molitura. Per esempio, sistemi di frangitura che intaccano la mandorla della drupa (il guscio legnoso che racchiude il seme) liberano enzimi che riducono la quantità dei polifenoli; così pure processi di gramolatura che consentono un contatto prolungato tra la pasta dell’oliva e l’ossigeno.
L’ACIDITÀ OLEICA. L’acidità dell’olio extravergine d’oliva viene rilevata, invece, tramite analisi di laboratorio e non è possibile percepirla direttamente a livello organolettico. Sulla base della normativa, il limite di acidità perché un olio d’oliva possa definirsi ‘extravergine’ è pari allo 0,8%, ma in un olio extravergine d’oliva di qualità i valori sono decisamente più bassi (0,1-0,3%). Valori superiori sono legati a problemi che insorgono durante il processo produttivo (olive troppo mature, attaccate dalla mosca, oppure lesioni causate da abbacchiatura troppo violenta) e sono accompagnati, spesso, da difetti sensoriali (come note di avvinato, legno o muffa). L’acidità aumenta anche se intercorre troppo tempo tra il momento in cui le olive vengono raccolte e quello in cui vengono molite (le olive devono essere molite entro poche ore!) oppure se si esegue l’estrazione dell’olio con macchinari non puliti.
I PEROSSIDI. Anche i perossidi sono rilevati tramite analisi di laboratorio. Si tratta di un dato espresso milliequivalenti/chilogrammo. Un valore auspicabile per un extravergine è al di sotto di 10, mentre la normativa pone l’asticella a 20 (al di sopra della quale l’olio è lampante). I perossidi di per sé non hanno né sapore né odore, ma originano aldeidi e chetoni che invece sono responsabili del sentore di rancido, tipico odore che indica che un olio è avariato. Infatti, un valore alto di perossidi mette in evidenza un processo di ossidazione già avviato ed irreversibile, che, nel tempo, porterà sia alla progressiva degradazione di alcuni componenti dell’olio (vitamine, polifenoli, etc.) sia al graduale irrancidimento dell’olio, che in questo modo diverrà anche sgradevole al palato e all’olfatto.
La comprensione di questi parametri è essenziale per valutare l’autenticità e la freschezza di un olio extravergine di oliva.