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Giovanni Pascoli nei “Canti di Castelvecchio” ci dice della forza vitale dell’olivo, e di come tutto il paesaggio intorno venga investito di energia positiva grazie a quest’albero.

Queste sono la seconda e la terza strofa della Canzone dell’ulivo

l’ulivo che a gli uomini appresti 
la bacca ch’è cibo e ch’è luce,
gremita, che alcuna ne resti
pel tordo sassello;

l’ulivo che ombreggi d’un glauco
pallore la rupe già truce,
dov’erri la pecora, e rauco
la chiami l’agnello;

l’ulivo che dia le vermene
pel figlio dell’uomo, che viene
sul mite asinello.

Portate il piccone: rimanga
l’aratro nell’ozio dell’aie.
Respinge il marrello e la vanga
lo sterile clivo.

Il clivo che ripido sale,
biancheggia di sassi e di ghiaie;
lo assordano l’ebbre cicale
col grido solivo.

Qui radichi e cresca! Non vuole,
per crescere, ch’aria, che sole,
che tempo, l’ulivo!

La canzone dell'ulivo di Giovanni Pascoli 1

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